Obbligo Green Pass in azienda: nuova sentenza e dibattito
Obbligo Green Pass in azienda: sentenza ammette sospensione stipendio, sindacati aprono ma senza demansionamento e discriminazioni.
Regole Covid e Green Pass: nuovo decreto in settimana
Mentre il dibattito sul Green Pass per i dipendenti è sul tavolo del Governo, con un incontro fra il premier Mario Draghi e i segretari dei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, arriva una sentenza del Tribunale di Roma favorevole a un datore di lavoro che ha sospeso un dipendente non vaccinato ritenuto dal medico competente non idoneo alle mansioni attribuite. La pronuncia riguarda un caso specifico, mentre il dibattito riguarda l’ipotesi di introdurre un obbligo di Certificazione Verde Covid-19 sui luoghi di lavoro, al momento non previsto. Vediamo tutto.
La posizione degli industriali
Green Pass sul lavoro: pro e contro della proposta Confindustria
La proposta sull’obbligo di Green Pass nei luoghi di lavoro è partita da Confindustria, favorevole a introdurlo, con eventuale demansionamento o sospensione dalla retribuzione. In realtà, il presidente Carlo Bonomi ha sottolineato che Viale dell’Astronomia non ha mai chiesto l’obbligo di vaccino in azienda e nemmeno un’applicazione unilaterale di altri obblighi.
La posizione dei sindacati
Nel frattempo, anche sul fronte sindacale si registrano aperture. Il numero uno della Cgil, Maurizio Landini, esprime una posizione di mediazione: «non siamo contrari» al Green Pass in azienda, ma «non deve diventare uno strumento per licenziare, demansionare o discriminare i lavoratori e le lavoratrici».
Il premier il 2 agosto ha incontrato il 2 agosto i leader confederali Maurizio Landini (Cgil), Luigi Sbarra (Cisl) e Pierpaolo Bombardieri (Uil) per consultarli sull’argomento. «Abbiamo chiarito che sull’obbligatorietà dei vaccini e sul green pass c’è un accordo sulla sicurezza sottoscritto dalle parti sociali e recepito da un decreto» e che «qualsiasi tentativo di modificare quell’accordo ha bisogno di una legge» spiega Bombardieri, proseguendo: «noi siamo vaccinati, sostenitori del Green Pass per il tempo libero, ma il diritto alla salute e il diritto al lavoro sono due principi garantiti dalla Costituzione sui quali bisogna intervenire con grande delicatezza senza forzature da una parte e dall’altra». In ogni caso, la posizione dei sindacati resta chiara: per introdurre l’obbligo serve una legge, che comunque non dovrebbe prevedere come alternativa al vaccino il licenziamento o anche solo il demansionamento, né essere discriminatoria.
Sentenze su inidoneità e sospensione
Si attendono a questo punto eventuali novità legislative. Nel frattempo, la stampa specializzata riferisce di una sentenza del Tribunale di Roma (18441/2021), che riguarda una lavoratrice non vaccinata, per la quale il medico ha rilasciato un certificato di idoneità con limitazioni, con divieto di essere a contatto con il pubblico a seguito al rifiuto di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19. Il datore di lavoro, sulla base di questo documento, ha sospeso la lavoratrice, che non era possibile spostare ad altre mansioni compatibili, togliendole quindi anche la retribuzione. Il Tribunale ha rigettato l’obiezione della lavoratrice, che lamentava una discriminazione in ragione del rifiuto di vaccinarsi, richiamando invece l’articolo 2087 del codice civile, in base al quale «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
Quando non ci sono altre mansioni cui destinarlo, è legittima (anzi doverosa) la sospensione dal lavoro del lavoratore che, sottoposto a visita del medico di fabbrica, sia risultato non idoneo a stare a contatto con la clientela perché non sottoposto al vaccino Covid-19. Non essendoci la prestazione lavorativa è altrettanto legittimo non erogargli la retribuzione.
I giudici hanno anche ritenuto legittima la sospensione della retribuzione, ricordando sentenze di Cassazione (Sentenza n. 7619/1995) in base alle quali a fronte del divieto di prestazione lavorativa determinato da prescrizione del medico competente il datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione.
Se le prestazioni lavorative vengono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto del datore di lavoro di ricevere, lo stesso datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione.
Alternative percorribili
Nell’attesa di nuovi sviluppi, nelle imprese si sperimentano una serie di soluzioni diverse per sensibilizzare i lavoratori a vaccinarsi.
- Brunello Cuccinielli pensa di introdurre in azienda un’aspettativa retribuitadi sei mesi per i dipendenti che non si vaccinano.
- Altre aziende stanno introducendo invece meccanismi premialiper i dipendenti che si vaccinano: Barberinos offre un premio di 100 euro netti in busta paga e un giorno di ferie, Contents offre due giorni di ferie, in corrispondenza delle somministrazioni del vaccino.
REDAZIONE PMI